La disciplina del regolamento di condominio è contenuta nell’art. 1138 c.c. nonché, in parte, negli artt. 68, 69 70, 71 e 72 disp. att. c.c.
In particolare, il codice civile individua i casi in cui esso è obbligatorio e il contenuto che deve avere.
Il primo comma dell’articolo 1138, infatti, dispone che “quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione“.
I commi successivi al primo, invece, si occupano di fissarne le modalità di approvazione e i limiti.
Obbligatorietà, funzione e approvazione
Occorre notare che il legislatore della riforma ha lasciato invariato il superamento della soglia dei dieci partecipanti per la formazione obbligatoria del regolamento di condominio, nonché la funzione precipua dello stesso di disciplinare l’uso delle cose comuni, prevedere i criteri di ripartizione delle spese (al regolamento, infatti, devono essere allegate le tabelle millesimali), fissare le norme a tutela del decoro dell’edificio nonché quelle inerenti l’amministrazione della cosa comune.
Nel fissare le modalità di approvazione del regolamento (con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’art. 1136 c.c.), il terzo comma dell’art. 1138 c.c., è stato novellato dalla riforma del 2012, che ha introdotto l’obbligo che lo stesso sia allegato al registro indicato dal numero 7) dell’art. 1130 c.c., ovverosia il “registro dei verbali delle assemblee” curato dall’amministratore.
Approvazione
Per quanto riguarda l’approvazione, più nel dettaglio, l’articolo 1138 del codice civile stabilisce che l’iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente, può essere presa da ciascun condomino.
L’approvazione, poi, necessita della maggioranza stabilita dal secondo comma dell’articolo 1136, ovverosia di un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.
Una volta approvato, il regolamento va allegato al registro dei verbali e delle assemblee e, come vedremo, può comunque essere impugnato secondo le regole ordinarie in materia di impugnazione delle delibere.
Limiti
Con riferimento ai limiti, gli ultimi due commi dell’articolo 1138 chiariscono che il regolamento non può, con le sue norme, menomare in alcun modo i diritti di ciascun condomino quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.
Esso non può poi mai derogare alle disposizioni di cui agli articoli 1118 secondo comma (il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni), 1119 (indivisibilità), 1120 (innovazioni), 1131 (rappresentanza), 1132 (dissenso dei condomini rispetto alle liti), 1136 (costituzione dell’assemblea e validità delle deliberazioni) e 1137 (impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea) del codice civile.
Infine, le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici.
Altri limiti alla redazione di un regolamento di condominio sono posti dall’articolo 72 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile, che stabilisce che questo non può derogare ai precedenti articoli 63, 66, 67 e 69.
La nuova disposizione “pet friendly”
Una delle più rilevanti novità apportate dalla riforma in materia di regolamento di condominio è quella relativa all’introduzione del nuovo quinto comma dell’art. 1138 c.c. che, come visto, sancisce l’impossibilità per i regolamenti condominiali di inserire norme che vietino di possedere o detenere animali domestici.
La “liberalizzazione” dell’ingresso degli animali domestici in condominio, sinonimo di un orientamento “pet friendly“ da parte del legislatore, è destinata ad avere un effetto impattante sulle liti condominiali portate nelle aule di giustizia, a partire dalla indeterminatezza della definizione.
Mentre, infatti, nel primo testo di riforma, la pertinenza del divieto riguardava gli “animali da compagnia“ – che la giurisprudenza in linea con l’interpretazione evolutiva delle norme vigenti, ha riconosciuto come “esseri senzienti“, stabilendo che “il gatto, come anche il cane, deve essere considerato come membro della famiglia” (Cass. 13.3.2013) – nella stesura definitiva del testo di riforma dell’art. 1138 c.c. il termine è stato sostituito con “animali domestici“.
La differenza è tutt’altro che pacifica, poiché mentre è chiaro che tra questi ultimi non rientrino gli “animali esotici“ (come per esempio i serpenti), non lo è altrettanto per altri animali d’affezione che non sempre vengono considerati domestici (v. ad esempio criceti, furetti, conigli, ecc.).
In ogni caso, la direttiva sembra possa ritenersi valida, secondo la giurisprudenza, solo per i regolamenti condominiali ordinari, poiché a differenza di quelli contrattuali che possono legittimamente limitare i poteri e le facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà con il consenso unanime di tutti i comproprietari, in quelli assembleari, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non è consentito l’inserimento di clausole che incidono sulla libertà del singolo condomino di poter godere e disporre della propria proprietà esclusiva, rientrando tra queste facoltà di godimento anche la detenzione degli animali domestici (Cass. 3705/2011).
Restano ferme, ovviamente, le regolamentazioni generali previste in materia, tra cui l’obbligo, incombente nei confronti dei proprietari dell’animale, di mantenere ordine e pulizia nell’area di passeggio, di usufruire del guinzaglio in ogni luogo e di applicare la museruola agli animali di indole aggressiva (come previsto dall’ordinanza del ministero della salute del 2009), oltre alle consuete responsabilità civili dei proprietari per i danni cagionati dall’animale ex art. 2052 c.c., per le immissioni moleste (sotto forma di rumore e disturbo della quiete) che superano la normale tollerabilità (art. 844 c.c.), nonché gli estremi censurati in sede penale dall’art. 672 c.p. per “omessa custodia e mal governo di animali“.
Definizione
Occorre a questo punto sottolineare che, da quanto visto, emerge chiaramente che il legislatore non fornisce una definizione univoca del regolamento, né la riforma del condominio ha provveduto ad apportare contributi specifici in materia.
Alla luce della disposizione codicistica, parte della dottrina sostiene che il regolamento rappresenti una “legge” interna al condominio, mentre altre teorie, propendendo per un’interpretazione letterale del dettato normativo, sostengono sia un documento contenente un insieme di norme finalizzate a disciplinare l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese sulla base dei diritti e degli obblighi spettanti a ciascun condominio, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.
Secondo la giurisprudenza, “il regolamento di condominio, quali che ne siano l’origine ed il procedimento di formazione, e, quindi, anche quando, abbia natura contrattuale, si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto della collettività condominiale, come atto volto ad incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti per tutti i componenti di detta collettività, su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico, ed a porsi come fonte di obblighi e di diritti, non tanto per la collettività condominiale come tale quanto, soprattutto, per i singoli condomini” (Cass. n. 12342/1995).
Natura del regolamento
Con riferimento alla sua natura, osserviamo che il regolamento può essere: “contrattuale“ (o negoziale), “ordinario“ ovvero “giudiziale“.
La differenza tra i tre tipi di regolamento è lungi dall’essere solo nominale ma si estende anche al suo contenuto.
Difatti, secondo l’elaborazione giurisprudenziale, gli ordinari regolamenti condominiali, approvati a mente dell’art. 1138, comma 4, c.c., dalla maggioranza dei partecipanti, non possono importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà (Cass. n. 12028/1993).
Se i regolamenti invece limitano i diritti dei singoli condomini sulle rispettive proprietà o sulle parti comuni, ampliano i poteri di uno o più condomini o attribuiscono a uno o più di essi maggiori diritti, dovranno avere necessariamente natura contrattuale ed essere quindi approvati all’unanimità “dovendo necessariamente rinvenirsi nella volontà dei singoli la fonte giustificatrice di atti dispositivi incidenti nella loro sfera giuridica” (Cass. n. 3705/2011).
I regolamenti giudiziali, infine, si hanno qualora non si riesca a pervenire alla formazione del regolamento in sede assembleare e si ricorra quindi all’autorità giudiziaria affinché sia la stessa a provvedere.
In ogni caso, come visto, le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultanti dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, né contenere clausole in contrasto o derogatorie alle disposizioni di legge, il cui elenco è espressamente indicato nell’art. 1138 c.c. e nell’art. 72 disp. att. c.c.
L’osservanza del regolamento
Per espressa previsione dell’art. 1107 c.c., dettato in materia di comunione ed applicabile anche al condominio, in virtù del richiamo contenuto nel terzo comma del’art. 1138 c.c., il regolamento, una volta approvato, ha effetto per tutti i partecipanti, nonché per gli eredi e gli aventi causa, salvo impugnazione ad opera dei dissenzienti davanti all’autorità giudiziaria entro trenta giorni dalla deliberazione.
Per gli assenti tale termine decorre dal giorno in cui la deliberazione è stata loro comunicata.
Se sono proposte più impugnazioni per il medesimo regolamento, l’autorità giudiziaria decide con un’unica sentenza.
È compito dell’amministratore, secondo l’art. 1130 c.c., novellato dalla l. n. 220/2012, punto 1), curare l’osservanza del regolamento di condominio, nonché la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, al quale lo stesso va allegato.
GECOSEI di Giuseppina Napolitano